NELLA "ZONA ROSSA" LA MANO TESA DELLE SUORE:
Palo central, numero 48. La casa a due piani ha le rose in giardino e un’immagine della Madonna di Aparecida, il santuario mariano a 165 chilometri da San Paolo. Nemmeno dieci anni fa l’hanno costruita nel mezzo della zona vermelha (la zona rossa) di Guamà cinque suore del Pime (Pontificio istituto missioni estere) chiamate da padre Claudio Pighin per tendere una mano alle giovani della favela. Ci vivono tre brasiliane, un’indiana e un’italiana. Suor Silvia, 72 anni, trevigiana di Conegliano, è stata 30 anni in missione nella foresta vicino a Manaus la capitale dell’Amazzonia brasiliana e in un lebbrosario. Si occupa di medicina alternativa, nel corso della sua vita ha imparato a preparare medicine con erbe e piante officinali, sfruttando l’antica sapienza dei monaci e quella dei nativi.
«Nelle condizioni di vita in cui si trovano – spiega – sono frequenti le malattie respiratorie e, per chi non ha l’acqua corrente e non può lavarsi con frequenza, le infezioni e le malattie della pelle. Poiché non hanno i soldi per comperarsi le medicine, si rivolgono a noi. Le assistiamo con i nostri preparati, che poi sono quelli della loro tradizione. Ma non glieli regaliamo, preferiamo venderli a un prezzo simbolico». «Siamo qui per un lavoro di evangelizzazione e formazione. Il nostro primo obiettivo è intervenire sui più poveri, sulle tante famiglie misere e sfasciate dove il padre è fuggito e la madre è assente. Oppure in quelle dove il tasso di promiscuità è l’anticamera del degrado. In questi casi occorre prima di tutto insegnare quali sono i loro diritti di esseri umani, spiegare alle madri che le figlie non devono essere vendute per vivere. Nel contempo proponiamo un cammino di evangelizzazione grazie alle catechiste e ai catechisti che insieme a queste persone compiono un cammino per formare una comunità, dove si impara ad aiutarsi e si prega gli uni per gli altri » . Infine c’è il lavoro di formazione scolastica e professionale. Per i ragazzi, se la famiglia si sfascia, la vita si svolge sulla strada con le regole della gang e della criminalità. Per le ragazze il futuro a Guamà e Tira Firme spesso prevede solo la prostituzione, magari per aiutare la mamma a mantenere fratellini e sorelline. «Cominciano a 13 anni, a volte anche prima, è terribile. Offriamo l’alternativa dello studio e di un lavoro. Nella nostra casa organizziamo corsi di taglio e cucito per avviarli al lavoro anche qui nella favela. La scuola c’è, ma se la famiglia crolla, i ragazzi finiscono in un abisso. È la lotta per la sopravvivenza che li rende così».
Le suore sono affiancate da catechisti e volontari. Sono state minacciate nei primi tempi della loro presenza a Guamà. «Un giorno entrarono in due in casa. Era poco prima di pranzo. Hanno suonato, dicevano che volevano domandarci aiuto. Abbiamo aperto. ma una volta entrati hanno fatto inginocchiare una di noi, minacciandola con una pistola. Per fortuna non avevamo molti soldi in casa e non ci hanno fatto del male. E non sono andati dalla nostra sorella cardiopatica che in quel momento stava dormendo. Ci hanno chiuse in cucina e poi sono fuggiti. E’ stata proprio lei, quando si è svegliata, a liberarci. Come viviamo? La paura c’è sempre quando usciamo in strada anche per andare a messa o per andare a trovare qualcuno. Ma cerchiamo di fare molta attenzione. La povertà è cresciuta e anche la criminalità e oggi più forte. Ma noi non ci arrendiamo».
(Paolo Lambruschi, inviato "Avvenire" a Belém - Brasile)
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